Sarà l’ennesimo album Black Metal fatto bene che recensisco da quando è iniziato il 2014, e ciò non può farmi altro che piacere. In questa recensione parlerò degli Erebus Enthroned, un gruppo australiano che decide di tornare alla carica dopo un debutto discreto proprio nel periodo in cui questo genere sembra aver ripreso vita. Lo stile del gruppo rispecchia per molti versi quello adottato da gruppi come Tortorum, The Negation o Lvcyfire, ovvero un Black Metal con una base old school che offre comunque degli spunti interessanti e originali che, alla fine, contraddistinguono ogni gruppo di questa nuova ondata di metal estremo. Gli “Erebus Enthroned”, in particolare, ci propongono un tipo di musica che può ricordare vagamente lo stile dei Watain e dei Marduk, quindi molto frenetico e aggressivo, che lascia comunque spazio a momenti più dediti al groove. Il disco si apre con “The Temple Under Hell”, una traccia molto veloce e ricca di blast beats, che riesce a coinvolgere l’ascoltatore e a creare un’atmosfera di morte e distruzione durante i suoi 8 minuti e 40 di durata. Come detto prima, già a partire da questa canzone iniziano i cambi di tempo e le parti più groove, che sono perfettamente inserite nel contesto e conferiscono una maggiore varietà al pezzo. La seconda traccia dell’album, “Return”, non si discosta di molto dal primo, basandosi sull'alternanza di parti in mid-tempo e altre molto più veloci. Rispetto alla precedente “The Temple Under Hell”, però, presenta più influenze da parte degli Watain, di conseguenza risulterà un pezzo molto grezzo con qualche spunto che richiama al Thrash. In questo momento, però, arriva il piatto forte: “Sorathick Penthecost”, probabilmente la track più interessante del disco. Presenta un’apertura con un riff lento con la doppia cassa come sottofondo costante, rimandando a sonorità vagamente orientali. Poco dopo il riff si mantiene sulla stessa tonalità, ma la batteria cambia completamente, e noi, abituati agli assurdi blast beat di prima, ora sentiremo qualcosa di molto più studiato e particolare, che comunque riesploderà nella furia a cui siamo stati precedentemente abituati. Tutto questo, comunque, è stato reso in maniera esemplare, creando, effettivamente, qualcosa di diverso. Per quanto riguarda i pezzi successivi, proseguono sulla stessa linea delle prime due canzoni, ma risultano comunque pienamente apprezzabili e coinvolgenti. Gli Erebus Enthroned , quindi, pur rimanendo fortemente ancorati a qualcosa che era già stato fatto, sono riusciti ad osare un po’ di più in alcuni punti e a creare qualcosa di interessante coinvolgendo l’ascoltatore anche grazie all’aggressività della voce del cantante capace di catturare qualunque fan del genere.

Alessio Strano
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