Dopo aver passato momenti difficili (da quanto riporta la stampa), per via di molteplici cambi di line up ed essere inciampati su alcuni problemi d'esordio, come la scarsa produzione dei primi lavori nonché l'inesperienza, riecco apparire gli americani Inferi con questo "The Path Of Apotheosis". In questi 4 lunghissimi anni i ragazzi di Tennessee hanno indubbiamente lavorato molto sul songwriting, riuscendo a portarci un disco di melodic death metal così tecnico da superare la linea che lo separa dal technical death metal. Faccio fatica a reputarlo semplicemente melodic death, infatti dall'inizio alla fine verremo trascinati dalle mostruose doti tecniche dei due chitarristi Malcolm Pugh e Mike Low (che hanno progettato, prodotto e missato questo disco), e semplicemente parlando, sappiate che non baderanno a spese (in fatto di contenuti)!
Oltre a non considerarlo semplice melodic death per le nette capacità tecniche mostrate, c'è da sottolineare l'aggressività con cui ti viene presentato il disco, grazie soprattutto alla produzione, e la disumana velocità con cui viene eseguito il tutto; non sarà raro trovare infatti canzoni superare i 270 bpm. I riff a parte veloci, sono molto ricchi e vari; le chitarre infatti eseguiranno virtuosismi pazzeschi che si mescoleranno in maniera sopraffina tra loro mantenendo comunque ognuno la propria identità. Inoltre sempre i riff, saranno interpreti insieme alle tastiere, delle evidenti influenze black metal che contiene questo "The Path Of Apotheosis". Nonostante la personale proposta, non posso non riportare i primi Decrepith Birth come principali influenze, anche se come ripeto i ragazzi di Tennessee a questa vaga somiglianza gli hanno donato uno stile tutto loro. Gli assoli meritano un capitolo a parte. Presenti in ogni canzone e in alcune canzoni ne troveremo perfino più di uno; la tecnica di Malcolm racchiude in sé sfumature che mi ricordano Christian Muenzner (lo dico senza esagerare), che in squadra con quella di Mike completa un assetto tale da non far mai risultare un assolo fuori posto o semplicemente troppo abusato.
Il drumming di Jack Blackburn è sorprendentemente vario e piacevole, infatti riesce a differenziare il suo stile senza risultare mai troppo noioso o soporifero ma al contrario si dimostra capace di reggere il tutto in velocità nonché in variabilità. Riguardo alla voce adottata, Josh Harrel ricorda molto i The Black Dahlia Murder, ma con massime e minime decisamente inferiori a quelle di Trevor Strnad. Alternanza tra growl e scream davvero ben riuscita, capace di far decollare le canzoni (come se ce ne fosse bisogno dopo aver sentito i due chitarristi all'opera..) e restando sempre inerenti a lyrics riguardanti temi fantasy e antiche guerre: un puro concept album possiamo dire.
Dopo aver sentito album del genere ti domandi subito: "Ma adesso questi che cazzo scriveranno in futuro?" - dato che c'è di tutto in questo appena trattato. Ma alla fine qualcosa di sconvolgente arriverà sempre; è questo il bello degli americani (non solo vabbeh..), lo stupirti in continuazione senza mai farti finire di dire la frase di prima.
Quest'anno sembra davvero prolifico per le uscite ultra valide; e vi ricordo che siamo solo a Marzo...
Quando sei una band come gli Inferi con la "fedina penale sporcata" da incertezze passate, o fai un disco coi contro coglioni o cambi nome e riparti da zero; per i nostri è il primo caso però, quindi tutti felici e contenti per loro.
Marco Gattini
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