Revival settantiamo e doom stanno incominciando a diventare una cosa talmente mainstream da risultare stucchevole. Non dico che Sabbath, Pentagram ed altre band più old school non siano da prendere come ispirazione però c'è un limite tra il voler emulare ed il voler riscrivere le stesse identiche cose. Poi ci sono gli Organ che se ne sbattono di dover rincorrere un qualcosa di prestabilito e funzionante e si gettano nella mischia con un album di tutto rispetto e che da cenni di personalità.
Tetro si basa su riff abbastanza canonici, niente di superlativo, la voce è ricolma di delay ed il basso di una distorsione maligna ma non confusionaria. Quello che spicca negli Organ è la capacità tecnica nel songwriting di poter con pochi semplici elementi tirare fuori canzoni che nel loro insieme sono di un'altro passo rispetto molte altre composizioni underground. C'è una certa saggezza di fondo e capacità, non che conoscenza dei propri mezzi che porta a far intrecciare i semplici meccanismi degli strumenti per creare un megazord più potente.
Quando arriviamo al finale di Enuma o Witch House è chiaro che non siamo rimasti al punto di partenza della canzone, siamo decollati. I ritmi poi sono scanditi, funerei ma non estremamente dilatati da risultare pachidermici. Quella via di mezzo tra un bpm funerario ed uno più stonereggiante, questa accortezza in tutti i brani permette di essere alimentati dallo zolfo che esalano gli accordi senza svenire in un sonno profondo dovuto alla distanza di essi. Ribadisco infine che sentire album Doom dove gli intrecci di chitarra sono molto più di un riff ripetuto 56 volte con sopra 3 note ultra effettate è già un traguardo. La voglia di metter su carta/mp3 un Doom di un livello tecnico più apprezzabile a mio modo di vedere premia la band che con pochi semplici strumenti crea architetture non del tutto scontate.
SENTENZA: Doomsday Celebration
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