Da fan della "seconda ora" dei Blind Guardian, nel senso che si tratta di una band con quasi 30 anni di storia che seguo con amore ormai da circa 20 anni, stavo aspettando con grande trepidazione questo disco, e penso di non essere l'unico.
I Blind Guardian ci hanno abituato con le loro ultime uscite a far passare moltissimo tempo tra un disco e l'altro, circa 4 o 5 anni a botta, e questa volta venivano da un album interlocutorio come "At the Edge of Time", che su 10 canzoni aveva 5 pezzi di buona qualità (ma che cominciavano a mostrare qualche segno di stanchezza) e 5 filler non ispirate.
"Beyond the Red Mirror" prosegue concettualmente le storie narrate su "Imaginations from the Other side", i 12 pezzi sono divisi in 9 parti e come nell'album precedente è stato fatto uso in alcune canzoni di un vero coro e di una vera orchestra, oltre alle classiche orchestrazioni synth.
Purtroppo, senza troppi giri di parole, l'album è abbastanza deludente.
E' evidente infatti che i Blind Guardian del 2015 non hanno più voglia di fare quello che li ha resi famosi, cioè il mix di thrash/speed metal, di power metal teutonico, di melodie hard rock e prog settantiano, le voci urlate che creano incredibili armonizzazioni, i riff cangianti con la solista a ricamarci sopra mille arrangiamenti con l'harmonizer.
I Blind guardian di oggi hanno meno aggressività, Hansi si è chiaramente stancato di urlare e di alzare con la voce, Marcus e Andrè hanno semplificato i riff all'osso e anche i cori sono stati molto ridimensionati.
Un altro segno della volontà generale di ammorbidimento è anche dato da una batteria molto in secondo piano ed un generale alleggerimento di tutte le orchestrazioni.
La band vorrebbe fare un sorta di progressive rock settantiano alla Uriah Heep (ed infatti tutte le canzoni degli ultimi anni che vanno in quella direzione sono le più ispirate e sentite), eppure per qualche motivo si trova in una sorta "di limbo morale" nel quale si sente il dovere di continuare a fare i pezzi che li hanno resi famosi, e quindi si ritrova a farcire gli album di filler autocitazioniste sempre meno ispirate, sempre più manieristiche, limitando ad uno o due episodi ad album le canzoni nelle quali lasciarsi davvero andare all'ispirazione.
Mentre la cosa preoccupante dell'album precedente era che la canzone che avevano scelto come opener dell'album, quindi il pezzo "forte", era in realtà il ricopertinato di una canzone scritta molto tempo prima per un videogame, la cosa veramente preoccupante di questo "Beyond the red Mirror" è il fatto che l'unico pezzo davvero ispirato e sul quale si vede che hanno investito molto tempo sia in realtà la "title track" del disco prima, "At The Edge of Time", dando l'impressione di essere un leftover della precedente writing session (anche se non è detto che sia necessariamente così), mentre la band lascia libera la sua vena più creativa proprio come già accennato nei momenti meno tipicamente Blind, come "Miracle Machine", che è quasi una canzone a cappella.
Il cd si chiude con un buon pezzo, "Grand Parade": i pezzi di chiusura degli album sono sempre stati un punto forte della band, in grado di concludere ogni capitolo sempre in maniera epica e cinematografica, ma il retrogusto che quest'album ci lascia sa di insoddisfazione, di filler poco ispirate e di necessità di cambiare genere per questa band, o di sciogliersi, per evitare di diluire la qualità altissima di una discografia STELLARE, che almeno per metà della loro carriera (nel periodo dal 1990 al 2007) ha visto uscire solo capolavori della storia del metal europeo e mondiale, e ha collocato la band anni luce avanti a tutta la concorrenza.
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