YDBCN intervista i Desource



Ciao Edoardo aggiornaci attualmente sulla situazione Desource, questo EP dal nome Ambition a che punto è?


Ciao! 
Innanzitutto grazie per l’intervista!
Al momento ci stiamo dedicando all’editing delle batterie, un processo di solito abbastanza veloce ma che in questo caso richiede più pazienza del previsto: in ambito Progressive Metal bisogna essere maniacali sin dall’inizio.
Nel corso della primavera ci dedicheremo poi a chitarre, basso, testi e a tutto il resto.
Non sappiamo però ancora come e quando l’EP avrà modo di uscire e in che veste.

Raccontaci un po' la storia della band partendo se vuoi da prima che esistesse il monicker “Desource”

Al contrario di quanti possano pensare i Desource sono un progetto molto “anziano”, nato nel 2007 sotto il nome (assai adolescenziale…) di My Sweet Nightmare; all’epoca eravamo tutti un po’ sotto con gli ossimori (colpa forse dei Pain of Salvation…)
Il progetto iniziò una vera e propria gavetta poi tra 2010 e 2012, anni in cui si tramutò in Desource previo l’ennesimo cambio di line up, quello che ha resistito di più, e che ha permesso alla band di esibirsi in diverse parti d’Italia.
E’ stata questa instabilità di fondo che ha rallentato e non poco l’uscita del nostro primo lavoro, Dirty Happiness, che in realtà era già un disco completo nell’ormai lontano 2010: molti pezzi tra cui Your Perfect Day, per esempio, furono scritti quando ancora diversi membri (me compreso) frequentavano le superiori.


Dopo le recenti turbolenze nella line up aver trovato Flavio Cardozo (Ex Hideous Divinity) e Mike Malyan (Monuments) sa quasi di miracolo. Come li avete conosciuti?


Mike lo conobbi durante la mia esperienza in Inghilterra, dove ho frequentato una scuola di musica moderna, laureandomi con una tesi sul La Verdiano, e diciamo che fu uno dei primi nomi a venirmi in mente dopo la brusca (e non poco) dipartita di Gabriele: essendo incerto sul futuro della band, almeno quest’EP doveva essere preservato, e sopratutto la sua direzione artistica, di conseguenza la necessità di un assoluto professionista dietro le pelli.
Flavio ci venne in mente in quanto forse l’unico “perfect man for the Job” nella zona: colgo l’occasione per ringraziarlo per il suo provvidenziale aiuto durante il periodo autunnale, senza dimenticare ovviamente anche Giulio Burini, che ci ha aiutato e non poco per rimanere a galla come live band in questi ultimi mesi.




Avete avuto l'onore ed il piacere di suonare di spalla a Protest The Hero, Architects e Destrage, ovviamente sono volate critiche sul pay to play. Cosa pensi riguardo questo? 


Qui tocchi un punto molto dolente ma allo stesso tempo interessante secondo me.
Tutti ormai conoscono il gioco perverso e apparentemente “ingiusto” del pay to play, alias, nome grosso che arriva da qualche parte in tour (perché all’estero funziona in ogni caso allo stesso modo, con intere kermesse che si mantengono così) e la schiera di band a cui viene proposto di aprire, sotto pagamento di una certa somma di denaro, per ricavarne visibilità, esperienza e quant’altro.
Io sono totalmente d’accordo con la base di questo discorso, e cioè: pagare per suonare è una brutta cosa, sopratutto se questo implica sorpassare diversi altri progetti che non hanno possibilità fisiche di arrivare allo stesso risultato.
Purtroppo, come sempre, la realtà è ben più complessa delle apparenze: il meccanismo malato dello slot è solo purtroppo la punta di un iceberg gigantesco, di natura (ovviamente) economica.
In un contesto dove “la musica è un bene di lusso”, citando Francesco Sarcina, da parte dell’artista, e un bene gratuito e onnipresente da parte dell’ascoltatore, grazie a servizi come Spotify o Youtube, dove siamo arrivati a pagare etichette, management, booking, eccetera, anche solo per avere un’occasione in più per mantenere in vita un progetto, sopratutto per chi come noi, che non è nato in contesti, servizi che anche solo qualche anno fa rappresentavano il garante della vita e del successo di una band, lo slot rappresenta veramente secondo me, il male minore se non un male inesistente.
Ci fossero le vendite e la domanda di un tempo automaticamente tutta una serie di meccanismi parassitari sparirebbero all’istante, ma purtroppo non è così, almeno per ora: di conseguenza la necessità di far cassa in maniere simili e se vogliamo immorali.
Per concludere, io l’ho sempre vista così: una band è come un’azienda, nei primi anni della sua vita, sempre che poi resista al mercato, i conti sono sempre in rosso, bisogna investire tempo e sì, anche SOLDI, oltre che a sacrificare tante piccole cose che fanno parte del nostro vivere quotidiano.
E’ superata una certa fase che il progetto può camminare davvero con le proprie gambe e trovarsi attorno un team di persone fidate, in grado di portare ancora più avanti tutta la baracca, ma non senza apparenti compromessi o resistere a invidie, attacchi, giudizi eccetera.
Lo Slot per me è rientra al giorno d’oggi in questo meccanismo.
Alla fine però per fortuna è sempre e solo la Musica che parla… e lì purtroppo si possono fare compromessi fino ad un certo punto.

Nel mondo oramai c'è una concorrenza agguerrita e pure Frank Palmieri dice che il mercato è saturo, come pensi che i Desource possano immettersi e guadagnare uno status quo nel mondo del progressive metal odierno? Che carte avete dalla vostra?

I Desource sono un progetto che propone innanzitutto musica VERA, non un progetto plastificato nato sui social, che ha come l’obiettivo quello di lasciare un segno indelebile nelle vite dei nostri fan, come tutti i grandi progetti musicali di sempre, indipendentemente se perdurerà nel tempo come dimensione di band oppure no.
Una carta che noi abbiamo dalla nostra parte sicuramente è la qualità sopraffina degli arrangiamenti e delle melodie, la varietà del songwriting, e, una su tutte, l’imprevedibilità.
Con questo non voglio dire che domani mattina ci troveremo in tour con i Between The Buried and Me…


Avete degli show in programma o state pianificando qualcosa per promuovere il cd?

Per ora no, in quanto abbiamo dei problemi non indifferenti da risolvere in diversi ambiti, ma sopratutto, la qualità finale del prodotto dovrà essere massima prima di parlare di date, release e quant’altro.
Dico solo una cosa: quest’EP farà impallidire la maggior parte di chi si considera musicista in ambito Rock/Core/Metal in Italia.
La collaborazione con Mike non ha fatto altro che rinforzare quello che era comunque dall’inizio l’obiettivo artistico di questo progetto, e cioè portare i nostri precedenti limiti all’estremo più assoluto.


Citando Lars Ulrich (senti che importanza che acquisisce la frase) quando ritieni che una canzone sia finita durante il tuo processo di songwriting? Cosa significa poi che una canzone è finita o che un cd è finito? Spesso si scrivono le canzoni come da robot con un copione da strofe, ritornelli ecc te come senti che una canzone non ha bisogna di un riff in più, un riff in meno ecc?

Io ho sempre avuto lo stesso approccio, anche in questo contesto: ogni canzone dev’essere scritta per essere la canzone più bella mai fatta, sotto ogni punto di vista.
E’ così che si raggiungono certi tipi di standard e sopratutto, si cominciano ad oliare certi meccanismi in fase di songwriting.
Con i Desource ho raggiunto il mio personale equilibrio e cioè che riesco a “proiettare” visivamente ciò che voglio ottenere da un pezzo in maniera immediata.
E’ ovvio che successivamente è necessario il famoso “Labor Limae” per rifinire ciò che vi è di ridondante.
Il test successivo e finale è far si che il brano rimanga in testa, al primo ascolto, a chiunque lo senta, e sopratutto, che venga voglia di smettere di far tutto tranne che ascoltare il suddetto pezzo.



Ho trovato l'ispirazione per queste domande ascoltando Inhuman Rampage dei Dragonforce, hai opinioni riguardo loro o i miei pessimi ascolti?

I Dragonforce sono un ottimo esercizio per l’air guitar!
Share on Google Plus

About Edoardo

YDBCN è un collettivo di persone disagiate che odia la musica
    Blogger Comment