4 Pinne All'orizzonte: It's 'DJENT NOT DA'JENT



Terronaut - Terronaut


Sconosciuti.Ma veramente sconosciuti.Non si sa quasi nulla di loro:nessun profilo su alcun social network se non una pagina Bancamp e una Myspace che presenta il loro album omonimo:”Terronaut”.
Da un primo ascolto,si riesce ad intuire il perché di tanto anonimato:senza troppi giri di parole,”Terronaut” è un album di mediocre post-rock,con venature post-metal e progressive che viaggia costantemente sull’orlo dell’abisso del “già sentito e risentito”.Tuttavia non so se definire questa costante mediocrità,un punto a sfavore o a favore del disco.Di certo,l’album non è scarso ma sentire quasi un’ora di post-rock che non fa mai decollare il pathos come dovrebbe,rende tutto l’album abbastanza soporifero e noioso.Più ascolti non mi hanno di certo fatto cambiare idea ma sta il fatto che “Terronaut” non lo si riesce ad odiare.A suo modo l’album,è ben suonato ma non riesce per niente ad elevarsi in alcun modo sia dal punto di vista strumentale che emotivo.Le potenzialità ci sono,ma come inventiva ed emozione,siamo a livelli(come già detto)mediocri.
Tracce dal titolo “Atmosphera”,”Down With Stars” e “Orbitae” ci fanno intuire che l’album verte su temi spaziali,senza comunque far immaginare minimamente un viaggio interstellare.La produzione invece,è un punto estremamente a favore del lavoro di questa band spagnola,che riesce ad estrapolare al meglio i suoi dagli strumenti,senza però far emergere il tutto ad un livello discutibilmente apprezzabile,chiaro segno che una buona produzione senza una buona esecuzione non porta da nessuna parte se non ad un piacevole ascolto di suoni di chitarre,batteria e basso.
Resta l’amaro in bocca dopo l’ascolta di “Terronaut”,il che non è un buon segno.Del resto,un album che vacilla sull’orlo dell’insufficienza per tutta la sua durata,fa rimanere dubbiosi su un possibile futuro della band.I Terronaut ora devono decidere se tuffarsi nell’abisso dell’anonimato ,o con un colpo di reni,tentare qualcosa di più personale e sperimentale.A loro la scelta.
[Francesco Tinella]
6




Shokran - Supreme Truth

Viva i tecnicismi, viva le seghe sulla chitarra e viva il djent: ma forse i russi Shokran non sanno che il troppo stroppia. Prendere elementi di altre band in maniera spudorata già non lo fa sembrare un lavoro originale di primo impatto, figuriamoci se poi questi vengono ripetuti per quaranta minuti circa quanto ti possa salire il latte ai coglioni ascoltandolo. Appena ho pigiato play ero molto carico e propositivo dai primi minuti molto intriganti e ben uniti; ma superati i 20 minuti (probabilmente anche prima) ho incominciato a storcere il naso fino a staccarlo dal viso e sofferto per arrivare alla fine. Quello che questi sovietici ci propongono è il classico djent pieno di tecnicismi come appena detto, alla Born Of Osiris per capirci, accompagnato da musiche orientali che ricordano vagamente molto quelle egiziane: non a caso nella cover è rappresentato proprio Anubi. I Nile del djent per dirla tutta. E sottolineerei, fortuna queste musiche orientali ad accompagnare perché sennò avremmo davanti a noi uno dei dischi più piatti e scialbi dell'anno, fidatevi. Per quanto riguarda la voce, ci viene offerto di tutto; dai growl più "deathcore" fino alle clean vocals (a tratti evitabilissime) passando per scream e fry-scream quest'ultimi abbastanza decisi. I breakdown sono presenti in quantità industriale ovviamente, con gli arpeggini/sweep picking ad accompagnarli quasi sempre. E poi 15 tracce per fare un disco del genere, facendole durare tutte intorno ai 2.30 che senso ha? Forse volevano fare il disco con più tracce che avessero una durata compresa fra i 2 ed i 3 minuti, bah. I ritornelli melodici con le clean vocals, perché non li rendono illegali in almeno mezza Europa? Per catturare l'ascoltare non basta lanciare un riffettino catchy e giù di clean vocals. Anzi no scusate, invece oggi ormai basta ed avanza.
Fatto sta che per alcuni elementi questo "Supreme Truth" non mi è affatto dispiaciuto, l'idea delle musiche dell'antico Egitto l'ho trovato molto interessante e vincente sotto certi punti di vista, il problema però è la durata e la consapevolezza di ripetere sempre le stesse cose più e più volte. Fillers? Uh a valanghe! Se questi russi invece di bere vodka dalla mattina alla sera (ogni riferimento è puramente casuale), trascorrevano più tempo a ragionare su come far scorrere quest'album, sono certo nel dirlo, ne sarebbe uscito un lavoro degno di nota. Ma alla fine è meglio così; dei russi che fanno il disco djent dell'anno o che ci si avvicinano parecchio, mi avrebbe stupito non poco.
[Marco Gattini]
6

Wide Eyes - Saṃsāra

Continuo a chiedermi se l’ondata “djent” esplosa negli ultimi anni,abbia realmente portato aria fresca nel metal moderno.Questa domanda,nella maggior parte delle volte, mi lascia profondamente dubbioso.Indiscutibilmente,a livello quantitativo,stiamo assistendo ad un vera e propria “pandemia musicale” che continua a “contagiare” menti e strumenti di tanti musicisti,ma,per quanto riguarda il livello qualitativo,questo contagio non credo sia servito a molto.Veder realmente rappresentare questo genere da un numero di band che si conta sulle dita di una mano,ne è la prova evidente.Il resto è plagio,piattume o mediocrità o in casi rarissimi mediocrità con sprazzi di personalità.In questa ultima categoria,rientra “Saṃsāra” dei Wide Eyes.
Per la proposta musicale dei Wide Eyes,l’album è un mattone:70 minuti di djent e progressive metal  strumentale(come detto prima mediocre con sprazzi di personalità)è qualcosa di veramente pesante da portare a termine in termini di ascolto.L’album naviga su una buona esecuzione ma su una mediocre qualità facendo però rizzare le orecchie in qualche caso di groove sprizzante e melodia accattivante.La presenza di guest come Aaron Marshall degli Intervals,del giovane e promettente Plini e del grande David Micic dei Destiny Potato(dei quali aspetto trepidante il debut),fanno elevare di qualche minuto in più la gradevolezza dell’ascolto del disco.
Per quanto riguarda la produzione,il lavoro è tutto da premiare:essendo un album strumentale la produzione da il meglio degli strumenti facendo risultare il tutto ben calibrato anche i termini di missaggio e mastering. Tuttavia, Il principale antagonista di “Saṃsāra” è il fattora tempo.Per un fan,un minutaggio elevato non dovrebbe risultare un problema,anche se con questo album è difficile non convenire sul fatto che la durata dello stesso non porta ad un ascolto pienamente godibile e che il tutto rischia di cadere inevitabilmente nel ripetersi.
Tuttavia,i Wide Eyes riescono a confezionare un buon album ma che purtroppo  mostra una personalità ancora troppa acerba per essere apprezzata al meglio.Non resta che premere di più sul fattore fantasia e premere con meno forza sul fattore durata in favore di un unico ma arduo obiettivo:qualità.
[Francesco Tinella]
7-


Warforged - Essence Of The Land

Definirsi death metal devo dire che è quasi un insulto a se stessi. I Warforged infatti dovrebbero aggiornare il loro genere, ma solo sulla carta perché musicalmente l'hanno fatto alla grande e questo "Essence Of The Land" ne è la prova più inequivocabile. Un disco che ti lascia veramente stupito ed esterrefatto, perché passare da riff sporchissimi stile black metal e scream disperati a chitarre acustiche e spunti orchestrali da pelle d'oca non può che stravolgerti mentalmente per quell'innocuo quarto d'ora circa di durata. Ma i Worfed questo vogliono fare, lasciarti confuso, senza nessun pensiero fisso, senza nessun ricordo irremovibile. C'è tutto e niente: dal techdeath, melodeath più repentino e arrapante, vedi "Diabolical Being" e "Regurgitate" fino al black, grind più snervante e purgante. "Essence Of The Land" ti stende in tutti i sensi: tecnicamente e cerebralmente. Assoli straziant fioriscono dalle radici tetre ed oscure che per buona parte siamo costretti ad assorbire. La qualità non troppo curata, è senza dubbio voluta: solo un deficiente criticherebbe questo cd per il sound non troppo sopraffino. L'effetto della voce rende il lavoro ancora più malato e strampalato ma è sempre tutto voluto e cercato dai ragazzi di Chicago. Il bello di questo lavoro è che riesce ad essere estremamente facile da assimilare nonostante risulta anormale per alcuni aspetti. Se cercate un lavoro non troppo diretto, ma neanche alla fine troppo ricercato e pieno zeppo di influenze, quest'ultima fatica dei Warforged potrebbe fare al caso vostro.
[Marco Gattini]
7

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