Dopo aver recensito sulle allora ``colonne'' di Underrated Album lo Sludge monolitico No degli Old Man Gloom, side project ormai non side project di
Aaron Turner (Isis), con l'allegria di chi va al patibolo mi metto a riascoltare a due anni di distanza il suo degno erede: l'enigmatico The Ape of God.
Enigmatico perché assistiamo ad una ancora più violenta polarizzazione di momenti di violenza e di momenti ambient rispetto al precedessore, spesso sconfinanti quasi con il drone. Se in No il sentimento di oppressione la faceva da padrone, seppur non mancassero i momenti sanguigni in The Ape of God la violenza spadronneggia spesso e volentieri su sentieri che rimandano in modo diretto e inequivocabile all'
Hardcore e al
Crust. The Ape of God ha un sentore primitivo, che l'opener
The Fist of Fury mette subito in chiaro: dal titolo in avanti si va al massacro, puro e cruento massacro. In parte la senzazione di primitivismo è lenita dagli inserti industrial che tuttavia contribuiscono a creare un senso di straniamento. Dopo l'attacco violento si torna a ragionare su ritmi più lenti (escludendo i drone nudi e crudi che qua e là fanno non troppo timidamente capolino) solo nella quarta traccia Shoulder Meat, pur non perdendo il groove. Le atmosfere ovattate della pseudo-title-track Simia Dei (The Ape of God in latino) non devono rilassare l'ascoltatore, perché l'estrema violenza è sempre dietro l'angolo con
Never Enter. I quattordici minuti della conclusiva
Arrows to our Hearts buttano addosso all'ascoltatore tutto quello di cui sopra e anche di più raggiungendo il più alto (o più basso a seconda di come la si vede) del disco:
la mazzata sui denti ultimativa. Un disco di livello da gente di livello ben comprovato: la violenza iniziale tiene attaccati all'ascolto mentre gradualmente si scende nella cupezza per poi arrivare in fondo stremati.
Recensore Giorgio Gubbiotti
Voto
YDBCN è un collettivo di persone disagiate che odia la musica
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