Uno di quei cd che appena ne senti due note vorresti subito scrivere “capolavoro”. Ti trattieni, fai lo sforzo di arrivare alla fine dei 21 minuti per tirare un sospiro di sollievo e confermare che le tue impressioni non erano del tutto sbagliate. Ridimensioni il concetto di “capolavoro” ma ti ritrovi sempre a sentire uno dei migliori album Crust mai usciti nell’ultimo lustro. Children Of God e company dovrebbero andare in Israele con foglio e penna per prendere appunti di come si è Crust e non lo si diventa. La naturalezza che percorre le note e l’incedere delle canzoni è ammirevole. Si sente che ogni nota mette di seguito l’altra, ogni atmosfera abbraccia la seguente e dei pochi minuti a disposizione ne fai tesoro. Indubbia l’influenza dei Fall Of Efrafa e dei crucchi Alpinist nel maelstrom tenebroso buttato giù dal combo della Terra Santa.
La band si trova a suo agio sia tra le composizioni più
articolate che tra quelle più spedite, l’iniziale “Samsara” insieme ad “Halls”
e “Submission” sono i punti alti del cd. La versatilità della tracklist è
notevole e sicuramente il breve minutaggio aiuta una assimilazione praticamente
certa dopo il terzo ascolto.
Il momento conclusivo “Il Faut Cultiver Notre Jardin” riesce a cogliere quell’anima riflessiva quasi ambient dei defunti FOE e mette allo stesso tempo la parole fine ed inizio al cd. Il modus operandi circolare che è stato imposto cattura nella sua scioltezza e progressivamente infonde la voglia di assaporare i vari, piccoli, brevi, magnifici riff che si scaturiscono in ogni canzone.
Il lavoro di riarrangiamento della sezione ritmica ha prodotto un risultato sicuramente sopra la media che riesce ad avere una sorta di continuum progressivo, altalenante, o meglio ondulatorio che scaglia la testa dell’ascoltatore in headbanings guidati e scanditissimi. Notevole e per niente scontato è invece il lavoro fatto su una Lead Guitar temeraria e coraggiosa che più volte si butta in armonizzazioni che potrebbero sembrare scontate ma che riescono nella loro relativa brevità ad attirare su di se molta della attenzione che si rivolge a questo cd. Parliamoci francamente, sentire un album Hardcore o Crust che sia, senza una Lead Guitar ben strutturata è come sentire del Punk ribassato di accordatura. Per quanto il lavoro del cantante sia efficace anche in questo album da chitarrista non mi esimerò dal dire quanto il lavoro delle chitarre faccia una notevole differenza specialmente in questi casi dove la musica proposta è relativamente semplice.
Il momento conclusivo “Il Faut Cultiver Notre Jardin” riesce a cogliere quell’anima riflessiva quasi ambient dei defunti FOE e mette allo stesso tempo la parole fine ed inizio al cd. Il modus operandi circolare che è stato imposto cattura nella sua scioltezza e progressivamente infonde la voglia di assaporare i vari, piccoli, brevi, magnifici riff che si scaturiscono in ogni canzone.
Il lavoro di riarrangiamento della sezione ritmica ha prodotto un risultato sicuramente sopra la media che riesce ad avere una sorta di continuum progressivo, altalenante, o meglio ondulatorio che scaglia la testa dell’ascoltatore in headbanings guidati e scanditissimi. Notevole e per niente scontato è invece il lavoro fatto su una Lead Guitar temeraria e coraggiosa che più volte si butta in armonizzazioni che potrebbero sembrare scontate ma che riescono nella loro relativa brevità ad attirare su di se molta della attenzione che si rivolge a questo cd. Parliamoci francamente, sentire un album Hardcore o Crust che sia, senza una Lead Guitar ben strutturata è come sentire del Punk ribassato di accordatura. Per quanto il lavoro del cantante sia efficace anche in questo album da chitarrista non mi esimerò dal dire quanto il lavoro delle chitarre faccia una notevole differenza specialmente in questi casi dove la musica proposta è relativamente semplice.
Altro pregio non indifferente di questo “Anaffa”(<---ascoltalo) è la
facilità con cui le lyrics vengono scandite ed entrano in mente, i testi sono
abbastanza minimali ma le metriche sono messe in modo tale da riempire
perfettamente le canzoni e far imparare a l'ascoltatore i vocaboli chiave da
urlare in sede live.
In conclusione verrebbe di riesumare un termine impuro come
Neo Crust coniato qualche anno fa per riuscire ad identificare band che avevano
attitudine e ritmica Crust ma che portavano con se una maggiore tecnica dei
propri predecessori e delle novità a livello interpretativo. Se proprio
vogliamo parlare di Neo Crust da oggi parliamo dei Barren Hope.
[Edoardo Del Principe]
[Edoardo Del Principe]
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