Wijlen Wij - Coronarchs of the Ω


I tempi del Funeral Doom son quel che sono. Nel 1991 quando tutti andavano a 3000bmp (anche quelli che facevano Death Doom si concedevano questo lusso, tolti forse i Winter che in un certo senso secondo me sono proprio gli anticipatori del Funeral) i Thergothon andavano senza rimorso a 50bpm e inventavano un nuovo sottogenere (del Doom? del Death? boh). C'è quindi poco da stupirsi se i belgi Wijlen Wij (Noi, Morti in fiammingo), veterani della scena Funeral Doom belga (Kostas Panagiotou e Kris Villez vengono direttamente dall'altro grande act Funeral Doom belga, i Pantheist) ci abbiano messo ben sette anni per partorire un seguito al primo disco autointilato disco. Da Wijlen Wij ad oggi sono (fortunatamente) cambiate diverse cose. Da un lato Wijlen Wij era un buon disco Funeral Doom che attingeva a piene mani dagli Skepticism migliori (cioè tutti, tranne Alloy che è uscito dopo) senza aggiungere niente al genere, ma "godibile" per quanto l'aggettivo possa avere senso riferito al Funeral Doom. Certo Wijlen Wij aveva un unico, grosso grossissimo problema: il suono delle chitarre sembrava registrato attaccando chitarra e pedale a PC col registratore di suoni di Windows, insomma un vero schifo che a me ha fatto salire in nazismo in modo brutale. A parte questo NON trascurabile difetto il disco era anche carino, ma a rendere più difficoltoso l'ascolto era proprio questo suono di merda e non tanto i ritmi apocalittici del gruppo (sarà una questione d'abitudine credo...).
Oggi invece apriti cielo: il nuovo lavoro dei Wijlen Wij, Coronarchs of the Ω è registrato con tutti i crismi, anzi direi di più: la produzione spacca veramente i culi, non ci sta un suono che sia di chitarra o tastiera fuori posto. Coronarcs of the Ω è un'ora di lenta agonia senza spiragli di luce sottolineata da riff lenti e martorianti che scandiscono l'andamento globale del gruppo e la quasi totale assenza di clean vocals. Tuttavia non mancano gli inserti più melodici che possono essere notevolmente cupi come in Die Verwandlung o tendenti all'epicità come nel finale di A Solemn Ode To Ruin (la canzone più completa del disco). I tappeti di organo che oberavano Wijlen Wij lasciano gradualmente il posto ad arrangiamenti di tastiera più elaborati, con inserti pianistici e dialoghi con le chitarre. Una complessità compositiva degna dei Mournful Congretation anche senza arrivare a strutturare le canzoni in tanti "movimenti" fa il gruppo australiano (una media di 12 minuti contro i circa 20 degli australiani). Per gli amanti del Funeral più corposo, non mancano neanche i passaggi più pieni di groove come nella terrificante Laying Waste to the City of Jerusalem o i blast con sottofondo pianistico da dissociazione mentale nella successiva A Solemn Ode to Ruin... (abbiamo due dei Pantheist, non dimentichiamolo!). Un grande passo avanti per i Wijlen Wij e una gran bella prova per dire che il Funeral Doom non è ancora morto.



Giorgio Gubbiotti


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